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  • Melissa Sangermani

Diagnosi....... ADHD (Disturbo da decifit di attenzione / iperattività.

Una delle manifestazioni di disagio che prevale sempre di più nel nostro tempo è il disturbo da deficit di attenzioni noto con l’acronimo inglese di ADD.

L’ADD è una seria alterazione del processo dell’attenzione che si presenta in bambini come in adulti.

Poiché la meditazione riguarda proprio lo sviluppo delle capacità di prestare attenzione si potrebbe ritenere che l’ottica meditativa sia in grado di far luce sui possibili modi di prevenire o curare quella condizione, e in effetti è proprio così.

Ma forse vale anche la pena di dichiarare che, dal punto di vista delle tradizioni meditative, la società intera soffre di ADD, c’è di che gloriarsene!, e delle sua variante di gran lunga più diffusa il disturbo da deficit di attenzione, iperattività (ADHD) e sta peggiorando di giorno in giorno.

Imparare ad affinare la nostra capacità di prestare attenzione e di sostenerla nel tempo potrebbe essere non più lusso, ma un canale vitale che ci riporta a quanto di più significativo c’è nella nostra vita, quanto di più facilmente mancato, ignorato, negato o attraversato così velocemente d’essere impossibile notarlo.

Si ha la sensazione che gran parte della popolazione tenda a soffrire di deficit di attenzione in un altro modo, più sottile e sotterraneo, dovuto alla particolare direzione che ha preso la nostra cultura nell’ultimo mezzo secolo.

Ci manca e ci sentiamo privati della vera attenzione premurosa degli altri. Siamo soggetti a sentirci sempre più soli e invisibili in questa cultura dell’intrattenimento così ossessionata dalla celebrità, un’isola che isola, pensiamo a chi guarda da solo, sera dopo sera, la sua dose di sitcom e di reality show televisivi, emozionandosi alle vite e alle fantasie degli altri, o a chi trova le proprie relazioni più intime nelle chat room in Internet su Facebook o Instagram, costantemente alla ricerca di like, di connettersi agli altri e sentirsi approvati.

Pensiamo alle ossessioni riguardanti i consumi, pensiamo allo stimolo incessante a riempire il proprio tempo, ad andare altrove, ottenere ciò che sembra mancare al punto da sentirsi soddisfatti e felici.

Nella nostra solitudine, nel nostro isolamento e nell’impulso apparentemente costante di trovare un momento di connessione significativa c’è un desiderio profondo, una voglia di appartenenza (di solito inconscia o ignorata), un desiderio di essere parte di tutto di un tutt’uno più vasto, di non essere anonimi, di essere visti e conosciuti.

La vita relazionale, infatti, lo scambio, il dare e ricevere, specie sul piano emotivo, è il modo in cui ci si ricorda che abbiamo un posto a questo mondo, che ci comunica, nel cuore, che effettivamente facciamo parte di qualcosa e che anche noi facciamo la differenza.


Molte ricerche sociologiche mostrano che nei bambini l’impegno attivo in attività collettive è in declino, e noi adulti forse non conosciamo più i nostri vicini di casa, e di certo non dipendiamo da loro come accadeva alle generazioni precedenti.

Anche nelle famiglie, di questi tempi, molti genitori di bambini piccoli spesso sono così stressati, così preoccupati e così terribilmente occupati da correre seriamente il rischio di non essere presenti per i loro bambini, pur essendoci fisicamente.

Così può capitare che nessuno in famiglia riceva la costante quantità di attenzioni di cui ha bisogno e che si merita.


È significativo ed è davvero tragico, che è un gran numero di bambini piccoli, perfino di tre anni ora venga curato con farmaci per il disturbo da deficit di attenzione, iperattività.

Non potrebbe darsi che in molti casi siano gli adulti a instradare i piccoli sulla via della distrazione e dell’iperattività?

Non sarà che questi comportamenti, in realtà, sono la norma, ai nostri giorni e quindi in senso stretto normali nelle circostanze attuali?

Forse il comportamento dei bambini è solo un sintomo di un molto più diffuso disagio della vita familiare e della vita in generale nella nostra epoca; probabilmente è questo il caso per la diffusione ormai epidemica dell’obesità che stiamo constatando fra gli adulti come fra i bambini.

I genitori sono raramente presenti: siamo tutti così occupati, travolti e persi nei nostri pensieri anche quando siamo lì fisicamente, lavoriamo fuori casa per la maggior parte del tempo, compresi le sere e i fine settimana, o quando siamo a casa poi passiamo un sacco di tempo al telefono e intanto facciamo volteggiare in aria come giocolieri tutte le necessità materiali e organizzative della gestione domestica.

Forse i nostri figli, anche i più piccoli, soffrono di una vera e propria deprivazione affettiva, di una carenza genitoriale e dell’enorme senso di perdita quasi genetico che vi si accompagna.

Forse c’è un deficit dell’attenzione dei genitori, decifit dell’attuale modo di vivere, di respirare, di fare le coccole, una carenza di presenza non distratta e affidabile invece che sporadica.

Dunque se noi adulti siamo costantemente spinti alla distrazioni, chi più chi meno, e facciamo fatica a concentrarci a lungo su una cosa, perché poi stupirci sei un numero sempre crescente di bambini finisce per essere nello stesso modo, visto che i loro ritmi sono estremamente sincronizzati sui nostri fin dalla nascita.

O forse, in alcuni casi, i bambini non soffrono realmente di ADHD (perlomeno non fin quando ricevono uno smartphone, con il suo corollario di SMS); Potrebbero essere solo normali bambini con un sacco di energie come tipico del carattere di alcuni, ma ora capita che siano percepiti perfino diagnosticati come problematici per la scuola, come portatori di devianza e comportamentali quali l’ADHD perché gli adulti non hanno più il tempo o la disponibilità o la pazienza per stare a lungo alle prese con la normale esuberanza dell’infanzia e con le sfide che questa ci pone.


Inserire la pratica di consapevolezza (mindfulness) nelle scuole garantisce un enorme contributo al benessere dell'ambiente scolastico.



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